Alimentazione bioregionale per una sopravvivenza naturale (senza arrecar danni alla natura) di Paolo D'Arpini

 


Nel  costante tentativo di portare avanti la mia pratica bioregionale nel luogo in cui attualmente vivo, cioè  a Treia,   ogni giorno compio qualche rito utile all'immersione nel luogo.  

 Ora, con l'avvento  dell'autunno,  passeggio sotto le mura a raccatar pigne ed arbusti per l'inverno, ripulire  i sentieri dalle immondizie (sempre più invadenti), raccogliere qualche erba commestibile, qualche fico, qualche giuggiola e qualche meletta selvatica. Tutto ciò lo faccio per restare in sintonia con il messaggio bioregionale del vivere in sintonia con il luogo in cui ci si trova. Cercando di apprendere  quel che il luogo può offrirci per la nostra sopravvivenza.

E così cerco, nei limiti del possibile,  di praticare  questa arte del vivere naturale,  precisando che i miei veri maestri nel campo del reperimento del cibo quotidiano e dell'immersione nella natura  non furono i "bioregionalisti" americani, quelli che  si   inventaron  il termine  "bioregione" (però andando a caccia nei parchi armati di schioppi e non di archi e frecce come gli indiani da loro presi ad esempio), ma sono stati  i vecchi contadini, prima di Calcata e poi di Treia, dai quali ho appreso alcune verità basilari sulla terra e sull’arte di trarne frutto senza danneggiarla.

Parlando di alimentazione ‘naturale’ vorrei fare l’esempio della cura rivolta alla prole, che si manifesta con l’incoraggiamento alla crescita e non con la coercizione, allo stesso modo poniamoci verso le risorse che madre terra offre.


In termini di approccio bioregionale verso le fonti di approvvigionamento alimentare  ciò significa prima di tutto rendersi consapevoli di quello che spontaneamente cresce nel posto in cui si vive.

Questo iniziale processo di osservazione, o accomunamento alla terra, è necessario per scoprire quante erbe e frutti commestibili son già disponibili, cresciuti in armonia organolettica con il suolo e quindi esprimenti un vero cibo integrato per chi là vive. Lo stesso corso va applicato anche alla vita animale selvatica che condivide la presenza in equilibrio naturale.

Un'accurata analisi consente l’immediato utilizzo di cibo integrativo spontaneo per arricchire la dieta corrente, oggi limitata a poche specie coltivate (sia pure in modo biologico). Il passo successivo e quello di sperimentare l’eventuale inserimento nel terreno prescelto di piante coltivate che siano in sintonia o meglio delle stesse famiglie di quelle spontanee.

Questa graduale promozione ovviamente non può essere fatta con l’occhio distaccato di un botanico o di un tecnico agricolo ma va accompagnata da una reale presenza e compartecipazione al luogo, in modo da trarne occasione per un riconoscimento di appartenenza e condivisione (con la vita ivi presente) divenendo in tal modo noi stessi cooperatori della natura e suoi conservatori.

E’ una convergenza, una osmosi, che si viene pian piano a creare fra noi e l’ambiente ed è anche la base della produzione di cibo vero (per uomini veri) che non va però relegata alla sola categoria dei contadini ma vista come la premura di ognuno. E’ un atteggiamento di consapevolezza alimentare.

Infatti il mio consiglio è quello di intraprendere piccole coltivazioni casalinghe ovunque sia possibile, nel giardino dietro casa o sulla terrazza di un condominio, e di approfittare di ogni passeggiata per cogliere delle erbe commestibili, in modo da spezzare la totale dipendenza dal cibo fornito dal mercato, rendendoci così responsabili - sia pure in minima parte - della nostra alimentazione. E’ un aspetto essenziale della cura per la vita quotidiana e della presenza consapevole nel luogo.

Paolo D'Arpini - Rete Bioregionale Italiana

Fonte: https://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2020/10/alimentazione-bioregionale-per-una.html

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