Intervista allo scrittore Giovanni Margarone di Francesca Ghezzani

 

Lo scrittore Giovanni Margarone combatte il pregiudizio e promuove la multiculturalità

Di Francesca Ghezzani

Lo scrittore Giovanni Margarone, classe 1965, è un grande amante della cultura in ogni sua forma e un assiduo lettore, cultore di filosofia e musica.

La scrittura e l’arte delle Muse, come l’avrebbero chiamata gli antichi Greci, in particolare, sono state sin da quando era ragazzo le sue vocazioni naturali.

Oggi Margarone è reduce da numerosi riconoscimenti ottenuti a livello nazionale con le sue opere “Note fragili”, “Le ombre delle verità svelate” e “E ascoltai solo me stesso” pubblicata in seconda edizione dalla casa editrice Kimerik.

Giovanni, in quest’ultima opera affronti il tema del pregiudizio. Perché hai sentito l’esigenza di dare voce a un atteggiamento così dilagante e delicato?

Uno scrittore, a mio avviso, ha il dovere morale di esprimere il proprio pensiero anche tra le righe di un romanzo. Come ho detto altre volte, scrivere è comunicare e sebbene spesso le storie che si narrano siano di frutto di fantasia, le vicende narrate ritengo siano un mezzo per trasmettere il pensiero dell’autore relativo al periodo storico in cui vive. Molteplici sono gli esempi in cui gli scrittori hanno condannato fatti e idee dell’epoca in cui hanno vissuto, come invece hanno esaltato altre idee e vicende, fornendo un contributo fondamentale per la diffusione del pensiero e il risveglio delle coscienze. Certe opere, nella storia della letteratura, sono state dei veri e propri manifesti ideologici che hanno creato correnti di pensiero fondamentali per il progresso della società. Basti pensare alla letteratura dell’Ottocento, secolo in cui ebbero luogo le prime vere rivoluzioni sociali, preludio dei grandi cambiamenti del ‘900. La Letteratura di ogni epoca è saldamente agganciata alla storia e gli scrittori hanno raccontato, nella libertà del loro pensiero spesso censurato, le loro epoche. Nei corsi storici, gli intellettuali spiriti liberi sono stati e continuano a essere i veri protagonisti di ciò che accade, perché non si fa la storia solo con la forza, come diceva Nietzsche.


Premesso questo, non posso esimermi anch’io dal trattare nei miei romanzi ciò che caratterizza la nostra epoca nel bene e nel male, nella dimensione del libero pensiero che, per fortuna, abbiamo il privilegio di poter esprimere vivendo in una società civile e democratica, a differenza di altre realtà del mondo, in cui la censura continua a essere messa in pratica.

Certamente il tema del pregiudizio è una delle questioni che ho trattato finora più o meno intensamente nei miei scritti; questo tema, come altri, ritengo che debba essere sempre presente nel grande dibattito sociologico-antropologico, poiché provoca una distorta visione della realtà da parte di chi, soprattutto, non è dotato di una certa capacità di analisi e di approfondimento del pensiero. Ed è proprio verso costoro che una certa politica fa leva, investendoli di idee approssimative colme di preconcetti, arrivando al punto di far credere loro che la menzogna sia l’autentica verità, conferendone importanza. In proposito, Nietzsche diceva “Si ritiene la cosa non spiegata e oscura più importante di quella spiegata e chiara” (Cfr. Umano, troppo Umano).

Per questo è importante diffondere idee che smuovano le coscienze, affinché sia smascherata la menzogna. In particolare, è importante far intendere che il pregiudizio conduce verso il baratro buio dell’assenza della verità con gravi conseguenze.

Sei nato ad Alessandria da padre siciliano e madre ligure, hai vissuto in Liguria fino a ventun anni e poi ti sei trasferito in Friuli per motivi di lavoro nel 1986. Condivido anche io con te tanti trasferimenti e penso che siano un’occasione di arricchimento personale. Sei d’accordo con me nel ritenere che l’interculturalità possa essere un valore aggiunto?


La storia della mia famiglia è fatta di emigrazione e io ne sono testimone. Sono cresciuto in tempi in cui era forte il pregiudizio fra nord e sud e io, questo, non lo capivo perché in casa mia convivevano pacificamente due regioni agli antipodi e se avessero offeso mio padre perché era siciliano, mi sarei sicuramente compromesso. Mio padre era un galantuomo: onesto lavoratore, splendido padre e marito e lo compiango ogni giorno da quando se ne andò sette anni or sono. Era un vero siciliano e tramite lui ho conosciuto la Sicilia e le sue bellezze, la sua gente splendida. Sebbene io sia nato al nord e ci abbia sempre vissuto, non sono mai stato influenzato da sentimenti razzisti, come avrei potuto? E crescendo ho fortificato in me l’idea che la diversità faccia parte di noi stessi e che non debba essere messa al bando. La discriminazione dell’umana differenza è uno dei mali più grandi di questo mondo e purtroppo tanta gente questo non lo ha ancora capito, fomentata da insane idee razziste che trovano nel popolo - ahimè - tanto terreno fertile. La storia è costellata di razzismo: dalla schiavitù dei neri d’America, alla persecuzione del popolo ebraico, passando per il genocidio degli armeni. E oggi la situazione non è per certi versi diversa: la Cina che perseguita cattolici e mussulmani, i fatti razzisti negli Stati Uniti, il razzismo di casa nostra verso immigrati, omosessuali e la diffidenza verso le altre fedi religiose, il neonazismo in Germania e la lista può continuare.

Utopia è vivere in pace fra esseri differenti, sebbene le costituzioni democratiche sanciscano parità di diritti fra generi, razze e religioni, ispirandosi alla Convenzione universale dei diritti dell’uomo. La multiculturalità è certamente un valore aggiunto e va protetta se non vogliamo che la nostra società torni a vivere momenti bui simili a quelli del passato e che nella società odierna si radicalizzino idee razziste e xenofobe altamente nocive alla civile convivenza.

Stiamo affrontando un periodo assai duro a livello mondiale, provati su più fronti. Possiamo conoscere il tuo pensiero sui diritti umani?

La Convenzione Universale dei diritti dell’uomo, che ognuno dovrebbe leggere nella sua vita e che ho citato nella risposta precedente, parla chiaro e io mi ispiro a essa e a quanto sancito dalla nostra Costituzione. Violare i diritti umani in qualunque parte del globo è un grave reato, ogni uomo e donna deve godere di quei diritti inviolabili, ma purtroppo non è così.

Questo è un periodo duro, indubbiamente, soprattutto per il mondo occidentale non abituato a soffrire. Il benessere ci ha fatto dimenticare lo spirito di sacrificio, facendoci credere di essere invincibili. Invece siamo fragili e fragili sono gli equilibri dell’umanità. L’arroganza del mondo occidentale ha fatto un passo indietro, mentre il terzo mondo, abituato a soffrire, sta vivendo sicuramente in modo più filosofico la pandemia.

Tuttavia il primo mondo, seppur ferito, continua a tollerare la discriminazione dei diritti umani, spesso compromesso a causa degli interessi economici globali. Un esempio? La Cina, questa potenza economica che in maniera subdola si è infiltrata nell’economia mondiale, condizionandone destini e futuro con il suo regime viola sistematicamente i diritti umani sotto vari aspetti; eppure la comunità internazionale tace, soggiogata dall’indispensabilità dei rapporti economici con il paese asiatico. La Cina si è imposta sul mercato, ne detta le leggi, diventando una superpotenza grazie alla sua superiorità demografica, alle attività illecite della sua mafia e alla sua capacità produttiva peraltro attuata in violazione di qualsiasi norma ambientale, diventando uno dei paesi più inquinati del mondo in barba ai protocolli di Kyoto. Da ultimo ha violato il diritto alla salute mondiale, tacendo sull’esistenza del Covid-19 nel novembre dell’anno passato e su questo gravissimo fatto la Cina dovrà renderne conto. Tuttavia ho forti dubbi in merito e altrettanti dubbi riguardo un’inversione di tendenza dell’economia globale rispetto alla Cina.

Ho letto in un’altra tua intervista che contrastare il regresso culturale è un dovere. Cosa dovremmo fare, secondo te, per sostenere questa tua dichiarazione?

Dovremmo non stancarci di parlare di quest’argomento, perché qualsiasi tema che esce fuori dai dibattiti va nell’oblio. Il regresso culturale è inconfutabile. Lo si percepisce ogni giorno, constatando, sempre riferendomi a Nietzsche, comportamenti che avvicinano l’uomo moderno a quello primitivo. La nostra epoca è pervasa dalla violenza: da quella che si manifesta nei contatti umani a quella in larga scala che coinvolge società intere. E la violenza è sintomo di regressione, un segnale che ci dice quanto la ragione, supportata dalla conoscenza, sia in flessione. Usare poco il cervello, questo straordinario dono che ci contraddistingue nel mondo animale, e affidarsi solo all’istinto e alla forza muscolare può compromettere inesorabilmente ciò che nel tempo l’uomo ha conquistato. Ciò porta al decadimento dei valori e può compromettere lo stato di diritto. Per questo la comunità culturale ha il dovere morale di contrastare questo regresso, risvegliando le coscienze assopite, tramite l’inoltro incalzante di messaggi che inducano a riflettere e alla consapevolezza di quanto sia deleterio un mondo senza cultura. In primis chi scrive, a tutti i livelli, deve avvertire questa responsabilità, perché la comunicazione è un aspetto fondamentale della società. La comunicazione arriva a tutti, in varie forme, e se è irresponsabile provoca effetti devastanti.

Il regresso va contrastato con la promozione della cultura a tutti i livelli e la diffusione della conoscenza. Non possiamo permettere che quanto è stato faticosamente conquistato nei secoli sia depauperato da una società di irresponsabili, possibili artefici di un nuovo Medioevo. Forse il mio pensiero è troppo drastico, lo spero caldamente. Un punto di partenza essenziale per evitare questo dramma è la scuola. Le nuove generazioni vanno formate adeguatamente affinché siano incubatori di conoscenza, consapevoli del fatto che l’ignoranza toglie dignità all’uomo. Per questo è necessario investire nella scuola, che diventi un’istituzione di eccellenza e non un carrozzone alla deriva come purtroppo è stato finora in Italia, a causa della carenza di una seria politica che punti sull’adeguatezza delle risorse a tutti i livelli. In merito la politica ha una grande responsabilità.

Infine, una curiosità se vuoi anche un po’ provocatoria: anche in ambito letterario/editoriale noti una certa “discriminazione”?

In merito ho scritto parecchio e resto nella convinzione che certi autori siano discriminati rispetto ad altri a causa della mercificazione del settore editoriale. Non è possibile che autori meritevoli restino nell’ombra, mentre altri che ormai gongolano nella loro fama continuino a pubblicare libri talvolta di dubbia qualità. Parimenti sono discriminate le piccole case editrici, che non riescono a competere con i grandi blasoni dell’editoria. Lo abbiamo visto in questo periodo, che non è finito, del coronavirus. La crisi economica conseguente alla pandemia ha falciato i piccoli, mentre i grandi, seppur con flessione dei loro fatturati, sono riusciti comunque a galleggiare. E questa selezione ha colpito tutti i settori produttivi e commerciali. Le crisi creano opportunità, lo si è sempre affermato, ma provocano anche ingiustizie e discriminazioni. Un’editoria meno lucrativa, che torni ad essere un sobrio veicolo di diffusione di voci nuove e meritevoli sarebbe auspicabile.

Giovanni Margarone

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