lunedì 29 ottobre 2018
Zewde, l’imperatrice senza armi, nuova guida dell’Etiopia di Michele Farina
Ha 68 anni ed è la maggiore di quattro
sorelle che il padre funzionario del governo imperiale volle far studiare. A 17
anni lasciò Addis Abeba per i corsi di scienze naturali in Francia. Ha un
marito e due figli maschi, per tutta la vita ha fatto la diplomatica in Africa
da ultimo per l’Onu. Qualcuno l’ha paragonata all’imperatrice Zewditu, che
governò un secolo fa. Con i capelli orgogliosamente grigi Sahle-Work Zewde è la
prima donna presidente nella storia dell’Etiopia e l’ultimo simbolo della
rapida rivoluzione che nel giro di dieci giorni ha «cambiato sesso» al governo
di un Paese percepito come sinonimo di rassicurante (e maschile) immobilità.
«Le donne sono meno corrotte degli
uomini e ci aiuteranno a portare pace e stabilità» ha spiegato Abiy Ahmed, il
quarantaduenne primo ministro che qualcuno chiama «il messia» e qualcun altro
vorrebbe fare fuori. Sei mesi fa, il giovane premier che ha chiuso la
ventennale guerra con l’Eritrea aveva suscitato un certo scalpore nel discorso
di insediamento, citando la moglie per riconoscerne il valore. La moglie? Non
l’aveva fatto nessuno dei suoi predecessori nel secondo Paese più popoloso
dell’Africa (104 milioni di abitanti). Se non sono campionesse di atletica di
norma le donne non vengono «calcolate» in una società patriarcale come quella
etiope (dove pure costituiscono la metà della forza lavoro, spesso non pagata,
soprattutto in agricoltura), e più in generale in un continente che vanta molti
presidenti maschi a vita, con relative first lady più o meno potenti, ma
pochissime leader. Su 55 Paesi, ultimamente ne era rimasta soltanto una, a
Mauritius, che però di recente si era dimessa proprio per uno scandalo di spese
non contabilizzate.
Da zero donne al potere l’Africa è
tornata almeno a una, anche se la carica di Sahle-Work Zewde, eletta
all’unanimità dal Parlamento di Addis Abeba, è simbolica più che politica. Il
potere è nelle mani del primo ministro, che comunque ha voluto portare la
parità di genere nel suo governo (in Africa l’aveva fatto finora soltanto il
Ruanda): venti ministri (erano 28 in precedenza), di cui dieci donne. Non era
mai accaduto. E i dicasteri governati da donne sono tutt’altro che secondari.
Responsabile della Difesa è l’ingegnere Aisha Mohammed, una delle due ministre
«velate» del governo. L’altra (entrambe sono scelte significative per
rappresentare il 30% della popolazione etiope di fede musulmana) è Muferit
Kamil, ex speaker del Parlamento, a cui è stato affidato il nuovo ministero
della Pace, che non è affatto uno scatolone vuoto. A lei faranno capo le forze
di sicurezza, compresi i servizi segreti. È un settore delicatissimo, in un
Paese che per tre anni è stato scosso da violente proteste e da ancora più
violente repressioni.
Le tensioni a sfondo etnico non si sono
ricomposte con l’arrivo del «messia» Ahmed: il primo Oromo (la maggioranza del
popolo) a raggiungere il potere è sfuggito questa estate a un attentato in una
piazza. Poco più di un mese fa ci sono stati oltre 30 morti nella capitale. Il
nodo delle autonomie regionali è cruciale (anche se sotto traccia) in vista
delle elezioni 2020. È stata la neo presidente Sahle-Work nel suo primo
discorso a indicare la via, chiedendo a tutti di ripudiare la violenza per una
ragione, come dire, femminile: «Vi imploro in nome delle madri, le prime a
soffrire quando manca la pace».
26 ottobre 2018 (modifica il 26 ottobre
2018 | 21:25)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
sabato 27 ottobre 2018
I PROMESSI SPOSI nell'interpretazione delle signore del mio corso "Leggere la letteratura classica per divertimento"
Ogni quindici giorni, incontro delle signore, non proprio giovani, presso la Biblioteca di Quiliano.
In questi anni, abbiamo curiosato tra vari soggetti e così, un bel giorno, abbiamo pensato, -perché no?- di leggere I PROMESSI SPOSI.
Le signore, che sono entusiaste della vita in genere e provano a fare lavori nuovi e stimolanti, si sono cimentate con vari personaggi del meraviglioso romanzo, facendoli diventare calligrammi.
Carla Saettone ha raccontato di Agnese.
Se cliccate sulla figura di ogni disegno, potrete leggere le parole.
Non manca il Castello dell'Innominato raccontato da Carla Robbiano: "Questo è il castello dell'Innominato, uomo miscredente che aveva fatto del male a tanta gente. Ma il Cardinale Borromeo, nella sua bontà, riuscì a farlo tornare nella retta via e così liberò la povera Lucia."
In questi anni, abbiamo curiosato tra vari soggetti e così, un bel giorno, abbiamo pensato, -perché no?- di leggere I PROMESSI SPOSI.
Le signore, che sono entusiaste della vita in genere e provano a fare lavori nuovi e stimolanti, si sono cimentate con vari personaggi del meraviglioso romanzo, facendoli diventare calligrammi.
Carla Saettone ha raccontato di Agnese.
Se cliccate sulla figura di ogni disegno, potrete leggere le parole.
La simpatica Perpetua di Vittoria Sguerso:
"Dalla sagrestia esce una donna premurosa, straccio in mano a pulire le panche della chiesa. Si sposta sul sagrato per spazzarlo. Passa il parroco e lei gli impartisce le ultime raccomandazioni."
Poi, il buon Renzo di Letizia Monti.
Non manca il Castello dell'Innominato raccontato da Carla Robbiano: "Questo è il castello dell'Innominato, uomo miscredente che aveva fatto del male a tanta gente. Ma il Cardinale Borromeo, nella sua bontà, riuscì a farlo tornare nella retta via e così liberò la povera Lucia."
Infine, torniamo all'inizio della storia, con Don Abbondio che passeggia e incontra i Bravi!!!!!
di Carla Saettone
Non vi sembrano lavori FANTASTICI?
sabato 20 ottobre 2018
DOPO DI ME IL DILUVIO di Renata Rusca Zargar
Sono andata, per la prima volta, a una riunione di
condominio. Di solito, mio marito mi risparmia le incombenze più sgradite ma ho
pensato, eccezionalmente, dopo tanti anni, di fargli compagnia. Tra le altre grane di
normale amministrazione, si è posta la
questione della luce nel portone, rotta o bruciata da tempo.
Quando era ancora funzionante, avevo cercato di sensibilizzare
i condomini sul fatto che tenere una luce accesa tutta la notte, era un inutile
spreco di denaro per i condomini, uno spreco per il nostro paese che compra le
risorse dall’estero e una rovina per il Pianeta che
sta aumentando la sua temperatura con le distruzioni climatiche e le tragedie che
tutti stiamo subendo.
Devo precisare che il nostro portone è perfettamente illuminato da un
enorme lampione che si trova a un paio di metri e che, naturalmente, la luce
nelle scale, che si accende e spegne al bisogno, è assolutamente funzionante.
Né prima, né durante la riunione, sono riuscita a sensibilizzare
qualcuno, anzi, mi hanno guardata pensando “Ma vedi questa poverina!”
Non è la prima volta che mi succede.
Quando facevo l’insegnante, mi sono battuta strenuamente per
la raccolta differenziata nella scuola ma
le bidelle non percepivano un incentivo per separare la carta dalle lattine, ad
esempio, e, quindi, non la facevano.
Io, personalmente, invece, dato che avevo molta carta
scritta solo da un lato (organizzavo un Concorso di poesia nazionale e mi
rimanevano le molte copie anonime delle poesie), la
usavo per far fare le verifiche scritte ai miei alunni, con grande orrore dei
colleghi che richiedevano protocolli intonsi. Tali verifiche, dopo essere
conservate per qualche anno negli scatoloni, poi, vengono avviate al macero.
Nessuno ha mai guardato quei fogli, ormai già distrutti, mentre qualche albero
in più è rimasto in vita. Come diceva Emily Dickison, “Se potrò […]
aiutare un Pettirosso caduto / A rientrare nel suo nido / Non avrò vissuto
invano.”
Sono stata, in linea di massima, un'insegnante molto amata e
stimata ma, anche se qualche mia mossa poteva provocarmi un brusco crollo nella
classifica insegnanti top ten, non ho mai mancato ai miei doveri, ai miei principi
morali e neppure alle mie conoscenze scientifiche, che ho approfondito nel
tempo, perché tutto cambia e l'educazione di ognuno di noi è permanente.
Ora, non penso che la piccola luce notturna in un misero portone di
una vecchia casa possa salvare il mondo. Purtroppo, non lo penso affatto! Credo,
però, che se ognuno di noi si impegnasse a fare piccole cose, tutte insieme
sarebbero immense.
Sicuramente, ricordiamo, ad esempio, “L’ora della Terra” (quest’anno
è stata il 24 marzo), che è un
appello planetario contro il cambiamento climatico e per la difesa del Pianeta.
Certamente, non si immagina che si cambierà il mondo in quell’ora ma che tanta
gente rifletterà sui cambiamenti climatici dati dal surriscaldamento della
Terra.
Anche
noi, in Italia, lo stiamo vedendo con estati sempre più calde, alluvioni,
inverni più freddi, siccità, desertificazione, tropicalizzazione (chiedete ai
pescatori). Tante persone muoiono anche qui, per questi disastri! E molte di
più muoiono in altri paesi, quando le loro case-baracca vengono trascinate via come
fuscelli da eventi climatici di straordinaria violenza.
Allora,
cosa ci costa usare le nostre conquiste e i nostri privilegi con meno
consumismo e più oculatezza? Magari, chiudendo la luce nelle stanze dove non siamo,
indossando una maglia in più, invece del riscaldamento a tutta birra, e tanti altri
piccoli accorgimenti che non renderanno più brutta la nostra vita ma molto più
consapevole. In Liguria, poi, raccogliere l’umido con impegno significa che
verrà prodotta energia e di questo dobbiamo essere molto orgogliosi.
Luigi
XV diceva: “Dopo di me il diluvio”, ma lui, appunto, era un re francese e si
preoccupava solo di se stesso.
Io
trovo molto strano che possa fare un pensiero simile chi ha figli e nipoti.
Infatti,
se la nostra vita è, ormai, in conclusione, con la nostra indifferenza, quanto dolore
e disastri siamo disposti a lasciare loro?
sabato 13 ottobre 2018
Margherita Levo Rosenberg, IO SONO QUEL CHE SONO, Palazzo Imperiale, Piazza Campetto, Genova, dal 19 ottobre
Margherita Levo Rosenberg
Io sono quel che sono - Post_reality test
Palazzo Imperiale -Piazza Campetto 8 Genova
dal 19 ottobre al 6 novembre
Inaugurazione venerdi 19 ottobre ore 18.00
Acura di Viana Conti
Io sono come l'albero che perde le sue foglie
Se fossi la Pittura le ridipingerei
Io sono come il tronco che affonda le radici
Se fossi la Scultura forse le taglierei
Dei fiori sono l'ape che sugge il biondo miele
Se fossi Madre Terra gli odori spargerei
Dei rami sono il frutto e pure la farfalla
Se fossi la Poesia gli amori scriverei
Ma sono solo il vento che soffia nei colori
E poi raggiunge Il mare e increspa le sue onde
Sparisco all'orizzonte e non ritorno mai
Semmai mi ripresento con un vestito nuovo
Io sono quel che sono, mi riconoscerai?
Margherita Levo Rosenberg, artista contemporanea, presenta a Genova nei
saloni del cinquecentesco Palazzo Imperiale, nel contesto del Festival della
Scienza con parola chiave Cambiamenti e Paese ospite Israele, la personale
dal significativo titolo Io sono quel che sono, con il sottotitolo
Post-reality test, ambito in cui si riconosce operante e termine con cui ama
autodefinirsi. La sua opera d'artista, psichiatra, arte-terapeuta, saggista
in prosa poetica, ideatrice di filastrocche ritmate su assonanze, rime,
allitterazioni, oscillanti tra il cult e il pop, si riflette nella forma,
nel pensiero che la sottende, nella fluidità dei riferimenti che la
connotano.
Io sono quel che sono intitola una mostra che sottoscrive, su un versante,
una messa in crisi della stabilità delle certezze, siano esse etiche,
estetiche, identitarie, percettive, fenomenologiche, scientifiche,
confessionali, filosofiche, e sull'altro versante sottoscrive un atto di
fede, paradossale, nell'impermanenza delle cose e nell'indeterminatezza
delle realtà. L'affermazione apodittica Io sono quel che sono detiene una
potenzialità tautologica per cui potrebbe essere ribaltata nell'enunciato Io
non sono quel che non sono, senza perdere né accrescere il suo portato di
senso. Ecco da dove scaturisce la fluidità della sua Pittura fluttuante che
scorre, corre fuori dal quadro, dalla cornice, per farsi cespuglio di
filamenti vibratili, viluppo di steli e di pensieri che si imprimono sulla
verginità di pellicole radiografiche trasparenti, di colorazioni a dominante
azzurra, per corpi frammentati, per organi della mente, della poesia,
dell'immaginario. Il ciclo di questi grovigli esplosivi e cangianti si
dissemina sulle pareti o si assembla in cerchio nello spazio, per immergere
lo spettatore in un paesaggio reale e metaforico insieme che, per un effetto
cinematografico, voluto dall'artista tramite la sovra-proiezione di un
video, riporta chi guarda subito nello scenario vibrante della Natura, Nella
Sala degli affreschi di Bernardo Castello entra magicamente la prima
edizione illustrata, stampata a Genova nel 1590, del poema eroico di
Torquato Tasso La Gerusalemme Liberata. Con gesto poetico-letterario,
Margherita Levo Rosenberg esprime il suo omaggio, a testo e contesto,
ideando un'installazione aerea, site-specific, intitolata Pensieri migranti,
esposta nel salone come un volo alto di rondini. Si tratta di frammenti del
Poema tassiano stampati su pellicole radiografiche celesti, colore rinviante
alla bandiera d'Israele, da riavvolgere manualmente su se stessi.
Ma non è tutto.L'autrice ha altresì pensato a un work in progress, di ordine
relazionale, intitolato Cl-amore, invitando i partecipanti al festival e il
pubblico a trascrivere, lapidariamente, su pellicola radiografica
trasparente, già ritagliata allo scopo, un pensiero, un aforisma, una
riflessione, sul concetto di cambiamento oggi, tematica del Festival in
corso, facendole poi dono di questi pensieri che l'artista trasformerà in un
"cespuglio scritturale" di messaggi, come esito di una partecipata opera
collettiva.
Dall'introduzione alla mostra di Viana Conti
Coordinamento
Luciana Giudici
Fotografia
Daria Cipriani
Traduzioni
Gaia Rosenberg
Io sono quel che sono - Post_reality test
Palazzo Imperiale -Piazza Campetto 8 Genova
dal 19 ottobre al 6 novembre
Inaugurazione venerdi 19 ottobre ore 18.00
Acura di Viana Conti
Io sono come l'albero che perde le sue foglie
Se fossi la Pittura le ridipingerei
Io sono come il tronco che affonda le radici
Se fossi la Scultura forse le taglierei
Dei fiori sono l'ape che sugge il biondo miele
Se fossi Madre Terra gli odori spargerei
Dei rami sono il frutto e pure la farfalla
Se fossi la Poesia gli amori scriverei
Ma sono solo il vento che soffia nei colori
E poi raggiunge Il mare e increspa le sue onde
Sparisco all'orizzonte e non ritorno mai
Semmai mi ripresento con un vestito nuovo
Io sono quel che sono, mi riconoscerai?
Margherita Levo Rosenberg, artista contemporanea, presenta a Genova nei
saloni del cinquecentesco Palazzo Imperiale, nel contesto del Festival della
Scienza con parola chiave Cambiamenti e Paese ospite Israele, la personale
dal significativo titolo Io sono quel che sono, con il sottotitolo
Post-reality test, ambito in cui si riconosce operante e termine con cui ama
autodefinirsi. La sua opera d'artista, psichiatra, arte-terapeuta, saggista
in prosa poetica, ideatrice di filastrocche ritmate su assonanze, rime,
allitterazioni, oscillanti tra il cult e il pop, si riflette nella forma,
nel pensiero che la sottende, nella fluidità dei riferimenti che la
connotano.
Io sono quel che sono intitola una mostra che sottoscrive, su un versante,
una messa in crisi della stabilità delle certezze, siano esse etiche,
estetiche, identitarie, percettive, fenomenologiche, scientifiche,
confessionali, filosofiche, e sull'altro versante sottoscrive un atto di
fede, paradossale, nell'impermanenza delle cose e nell'indeterminatezza
delle realtà. L'affermazione apodittica Io sono quel che sono detiene una
potenzialità tautologica per cui potrebbe essere ribaltata nell'enunciato Io
non sono quel che non sono, senza perdere né accrescere il suo portato di
senso. Ecco da dove scaturisce la fluidità della sua Pittura fluttuante che
scorre, corre fuori dal quadro, dalla cornice, per farsi cespuglio di
filamenti vibratili, viluppo di steli e di pensieri che si imprimono sulla
verginità di pellicole radiografiche trasparenti, di colorazioni a dominante
azzurra, per corpi frammentati, per organi della mente, della poesia,
dell'immaginario. Il ciclo di questi grovigli esplosivi e cangianti si
dissemina sulle pareti o si assembla in cerchio nello spazio, per immergere
lo spettatore in un paesaggio reale e metaforico insieme che, per un effetto
cinematografico, voluto dall'artista tramite la sovra-proiezione di un
video, riporta chi guarda subito nello scenario vibrante della Natura, Nella
Sala degli affreschi di Bernardo Castello entra magicamente la prima
edizione illustrata, stampata a Genova nel 1590, del poema eroico di
Torquato Tasso La Gerusalemme Liberata. Con gesto poetico-letterario,
Margherita Levo Rosenberg esprime il suo omaggio, a testo e contesto,
ideando un'installazione aerea, site-specific, intitolata Pensieri migranti,
esposta nel salone come un volo alto di rondini. Si tratta di frammenti del
Poema tassiano stampati su pellicole radiografiche celesti, colore rinviante
alla bandiera d'Israele, da riavvolgere manualmente su se stessi.
Ma non è tutto.L'autrice ha altresì pensato a un work in progress, di ordine
relazionale, intitolato Cl-amore, invitando i partecipanti al festival e il
pubblico a trascrivere, lapidariamente, su pellicola radiografica
trasparente, già ritagliata allo scopo, un pensiero, un aforisma, una
riflessione, sul concetto di cambiamento oggi, tematica del Festival in
corso, facendole poi dono di questi pensieri che l'artista trasformerà in un
"cespuglio scritturale" di messaggi, come esito di una partecipata opera
collettiva.
Dall'introduzione alla mostra di Viana Conti
Coordinamento
Luciana Giudici
Fotografia
Daria Cipriani
Traduzioni
Gaia Rosenberg
venerdì 12 ottobre 2018
NOTIZIE DAL CENTRAFRICA
Mattoni più forti della guerra e frati forti come mattoni
Notiziario dal Carmel di Bangui n° 22 – 9 Ottobre 2018
Che il Centrafrica, dopo ormai cinque
anni di guerra e molti di più di malgoverno, sia un paese da ricostruire – o,
più onestamente, da costruire per la prima volta – lo dicono tutti. Sul come
questa ricostruzione debba iniziare, e da dove sia meglio partire, le opinioni
si sprecano. C’è poi chi si ostina a continuare la guerra, distruggendo quel
poco che si era costruito in quasi sessant’anni d’indipendenza. Per fortuna c’è
anche chi si ostina a credere che il paese non sia condannato alla guerra e che
sia possibile, discretamente e con determinazione, costruire piccoli cantieri
di pace e di speranza.
Uno di questi cantieri è nato, diversi
mesi fa, proprio qui al Carmel di Bangui. Si tratta di un piccolo sogno che
coltivavamo da anni e che, grazie ad alcune fortunate coincidenze, e all’aiuto
di diverse persone, siamo finalmente riusciti a realizzare. Se c’è un paese da
costruire – ci siamo chiesti – perché non provare a produrre mattoni? Mattoni
veri, mattoni nuovi, mattoni forti, più forti della guerra.
L’acquisto dei macchinari – e l’avvio
della produzione – è stato possibile grazie al contributo dell’associazione
francese “Un P.A.S. avec les Frères Jaccard” (fondata da due fratelli
sacerdoti, uno dei quali scomparso recentemente, ex-missionari tra i lebbrosi
del Camerun) e ad un finanziamento della Conferenza Episcopale Italiana,
grazie ai fondi donati tramite l’8xmille alla Chiesa Cattolica.
I macchinari sono arrivati direttamente
dal Sudafrica e dal Congo è arrivato James, un ingegnere-formatore, che ha insegnato
a una trentina di operai come produrre i mattoni. Non si tratta, infatti, di
mattoni comuni, ma di nuova concezione. In Centrafrica i mattoni sono
normalmente di argilla (seccati al sole o cotti in forni artigianali) oppure in
cemento e sabbia. I mattoni del Carmel sono invece ‘hydraform’. Si
tratta di mattoni composti al 46% di argilla, un altro 46% di sabbia e infine
un piccolo 8% di cemento e un po’ d’acqua. I mattoni sono semplicemente
pressati da due pistoni, poi innaffiati per una settimana e, senza essere cotti
in nessun forno, sono pronti all’uso. Questi mattoni sono resistenti all’acqua
e particolarmente forti: possono sopportare una pressione di cinque atmosfere e
mezzo. Sono inoltre autobloccanti e quindi, in fase di costruzione, non richiedono
malta. Neppure i pilastri sono necessari. E sono così belli da vedere che si
può evitare l’intonaco. Insomma: una sorta di Lego di argilla rossa e
sabbia di fiume! Nelle foto in allegato potete vedere alcune immagini della
produzione e della prima costruzione che stiamo realizzando, una scuola
agricola (un altro sogno del quale vi parlerò più in dettaglio un’altra vota).
Questi mattoni sono destinati alle costruzioni delle nostre missioni, ma anche
alla vendita. Forse non ci crederete, ma il nostro primo cliente è stato niente
poco di meno che Papa Francesco. Da alcuni mesi – in seguito ad un esplicito
desiderio del Papa, dopo la sua visita in Centrafrica nel 2015– è in corso a
Bangui la costruzione di un centro per i malnutriti. I lavori sono seguiti
dalla Nunziatura Apostolica e un piccolo edificio è stato realizzato proprio
con i mattoni prodotti al Carmel. Come primo cliente, quindi, non c’è male!
Quest’attività ha per noi un doppio
valore simbolico. Innanzitutto è per noi un piccolo e concreto contributo
nell’opera di ricostruzione del paese. Tale ricostruzione passa, anche se non
solo, attraverso la creazione di luoghi di formazione come appunto vorrebbero
essere il cantiere della produzione dei mattoni e la scuola agricola. Inoltre,
la maggior parte degli operai che hanno partecipato alla formazione – e ora
producono mattoni o lavorano sul cantiere – sono ex-profughi del Carmel. Un
giorno, mentre facevo alcune foto agli operai, durante la produzione, si
avvicina Bodelò, un giovane di vent’anni, con già due figli da mantenere. Tutto
fiero solleva tra le sue mani un mattone appena nato tra le sue mani. Quasi non
crede che sia stato capace di produrre qualcosa di così bello e così forte. E,
ben consapevole che non le armi, ma solo la buona volontà sradicherà miseria e
guerra dal suo paese, m’informa del suo grande progetto per il futuro: “Mbi
ye ti ga maçon! Voglio diventare muratore!”. L’ora della costruzione di un
nuovo Centrafrica, al Carmel, è ormai suonata.
C’è poi un secondo valore simbolico. Quando
i primi missionari francesi arrivarono in Centrafrica, a fine ‘800, una delle
prime attività installate nelle missioni erano delle fornaci per la cottura dei
mattoni con i quali costruirono chiese, case, scuole, dispensari e cattedrali…
Dopo più di un secolo la nostra comunità riprende discretamente quest’attività,
collegandoci simbolicamente a questi antichi missionari.
Nel frattempo il sottoscritto ha
raggiunto la vetta dei quarant’anni, venti dei quali vestito da frate e dieci
di questi venti in quest’angolo di paradiso situato, più o meno, all’incrocio
tra il 4° parallelo a nord dell’equatore e il 18° meridiano ad est di
Greenwich. Pare che la crisi dei quarant’anni non risparmi neppure i frati e
che il bisogno di paternità, anche per chi ha liberamente scelto di non avere
figli, si faccia prepotente. Una leggenda conventuale, che mi è stata trasmessa
da un carissimo amico francescano, narra che questa crisi possa essere risolta
in quattro modi. C’è chi inizia ad avere veramente dei figli, chi scrive libri,
chi costruisce chiese o cose del genere. Oppure (e questa è la quarta e la
migliore soluzione) chi scopre tutta la bellezza e la responsabilità della
paternità spirituale. Per quanto riguarda i figli, posso dire di esserci andato
molto vicino quando in convento, durante la guerra, nascevano bambini quasi a
decine. Quanto a libri – a parte questi notiziari tanto attesi dai miei
venticinque lettori – non ne ho scritti. Quanto a costruzioni, se Dio e voi mi
aiuterete, confesso che una chiesa mi piacerebbe tanto costruirla, dal momento
che le nostre affollate celebrazioni domenicali si svolgono sotto un hangar con
un tetto in lamiera e un pavimento di terra battuta.
Quanto a paternità spirituale il Signore
ha invece superato ogni mia previsione regalandomi la gioia e l’opportunità di
accompagnare i primi passi nella via religiosa di ormai decine di giovani.
Mettere al mondo un frate è tanto bello e complicato come mettere al mondo un
uomo. Per fortuna non si tratta dell’opera di una sola persona, ma di un vero
lavoro di squadra che condivido con i miei confratelli. E, se permettete
l’ardito confronto, mettere al mondo un frate è un po’ come fare un mattone.
Ogni frate, infatti, è l’incontro tra la
terra del proprio entusiasmo e delle proprie fragilità e la sabbia dei sogni e
della misericordia di Dio. Poi ci vuole necessariamente il cemento della
compagnia dei fratelli, senza dimenticare l’acqua della vostra generosa
amicizia e delle vostre preghiere. L’intero composto viene poi pressato – con
moderazione, ma anche determinazione – tra i due pistoni del Vangelo e della
Regola. Al capo cantiere l’onore e l’onere di vegliare – con il proprio
esempio, molto buon senso e tanta pazienza – a che le dosi non siano sbagliate
e che non manchi nessun ingrediente. Con la consapevolezza che quel mattone –
cioè, volevo dire quel frate! – non gli appartiene. Con l’unica differenza che
per fare un mattone basta una settimana, mentre per fare un frate non basta una
vita. E se i mattoni sono praticamente tutti uguali, i frati sono invece molto
diversi gli uni dagli altri. Non ce n’è uno che assomigli all’altro.
A me, e a miei confratelli missionari,
antichi e nuovi, la gioia e la responsabilità di essere le fondamenta nella
costruzione – giorno dopo giorno, mattone dopo mattone, frate dopo frate – di
questo piccolo Carmelo, in questa giovane chiesa, in questo grande paese.
Un abbraccio
Padre Federico… e dodici mattoni in fase
di costruzione
Qui sotto alcuni video e altri link:
1. Centrafrica: centro Bambino Gesù contro malnutrizione a Bangui: https://youtu.be/CfVc-2STVMw
2. Mattone dopo mattone rinasce il
Centrafrica: https://youtu.be/X2YMg3ZDFUE
venerdì 5 ottobre 2018
IL SENTIMENTO DELLA PRECARIETA' di Angela Fabbri
IL SENTIMENTO della PRECARIETA’
Questa notte
a Sottovoce ho sentito Tommaso Labate esprimere il sentimento della precarietà
in modo netto, chiaro, preciso (anche se non era di questo che stava parlando):
<< Mi
chiedo, se succede qualcosa che scombina me o il mio lavoro, avrò la capacità
di sopravvivere e bastare a me stesso per almeno dieci anni? E essere di aiuto
ai miei due fratelli più giovani? E di sostegno ai miei genitori quando avranno
bisogno di me? >>
Ho riportato
le parole a memoria, a trasmissione finita, dunque non pretendo siano testuali:
non le ho registrate come farebbe un giornalista. Ma mi hanno colpito e ho
risposto mentalmente sempre mentre seguivo la trasmissione:
“ Ai miei
tempi no. Mentre cominciavo a lavorare lontano (Torino), i miei genitori
andavano in pensione e li sapevo a casa a Ferrara. Ero tranquilla, mentre
andavo avanti a lavorare in giro per l’Italia.
Non mi facevo
pensieri sul fatto che invecchiavano e potevano ammalarsi e avere bisogno di
me: alla mia epoca i genitori erano non solo sempre in salute con qualche
acciacco d’età, ma soprattutto immortali.
E avevo fatto
tanta fatica a conquistarmi un lavoro, cominciandolo a 400 km da casa, che non
pensavo certo di perderlo. “
Noi di
quell’epoca, fine anni settanta del Novecento (che fu davvero avara di lavoro,
così avara da dover andare a cercarlo e a impararlo ben + lontano dei 51 km
riservati oggi ai cercatori d’impiego oggetto del ‘Reddito di Cittadinanza’ promulgato
dall’attuale governo), vivevamo nel presente e nel futuro vedevamo solo quello
che desideravamo raggiungere.
E tantomeno
ci sfiorava il pensiero di essere noi, un giorno, bisognosi di cure, di
assistenza domiciliare e se avremmo potuto sopperire da soli a queste
necessità.
Eravamo
ancora avvolti nella bambagia, che ci riempiva soprattutto le orecchie, infatti
non sentivamo alcun bombardamento mediatico. Proprio come bambini, eravamo.
Pieni di fiducia nella vita.
O forse, +
semplicemente, il bombardamento mediatico non era ancora incominciato.
Questo bombardamento
mediatico, che ci fa sentire malati e morti prima del tempo. Ma sicuramente
INFORMATI, della nostra PRECARIETA’, in ogni dettaglio.
Angela
Fabbri
(Ferrara, 3
ottobre 2018, notte del mio 67° compleanno)
VIAGGIANDO SOLTANTO DI NOTTE di Angela Fabbri
Viaggiando soltanto di notte
Viaggiando soltanto di notte
ho scoperto quanto è solo il mondo
quanto è solo l'uomo
e l'universo.
Ho scoperto che la vita è un deserto
che la vita è una valle buia
che l'uomo è un fantasma.
ho scoperto quanto è solo il mondo
quanto è solo l'uomo
e l'universo.
Ho scoperto che la vita è un deserto
che la vita è una valle buia
che l'uomo è un fantasma.
Mi sono fermata
in mezzo a una grande campagna
a masticare fili d'erba nel buio
Non c'era una voce
né un animale
e nemmeno il vento provò a parlare
Il profumo della terra era sparito
e il sapore del fieno era finito.
Finchè la luna oltrepassò le nubi
lentamente
e prese a illuminare la pianura.
in mezzo a una grande campagna
a masticare fili d'erba nel buio
Non c'era una voce
né un animale
e nemmeno il vento provò a parlare
Il profumo della terra era sparito
e il sapore del fieno era finito.
Finchè la luna oltrepassò le nubi
lentamente
e prese a illuminare la pianura.
Che pazzia
credere il mondo un deserto buio
e l'uomo un pensiero vagabondo:
Furono i sensi a dirmi questo.
credere il mondo un deserto buio
e l'uomo un pensiero vagabondo:
Furono i sensi a dirmi questo.
(Angela Fabbri, Ferrara febbraio 1972)
martedì 2 ottobre 2018
IL SOGNO di Carla Saettone e PENSIERI NOTTURNI di Letizia Monti
Come ho pubblicizzato in passato, tengo da alcuni anni dei corsi (incontri amichevoli, più che altro) di letteratura presso la Biblioteca di Quiliano.
Abbiamo letto, insieme, moltissimi brani ma anche l'Inferno di Dante, i Promessi Sposi ecc. ecc.
Le mie alunne che, come me, non sono giovanissime, hanno anche scritto molto e stiamo lavorando a un libretto che raccolga testi e calligrammi (sono fenomenali in questo!).
Qualcosa, però, voglio mettere anche qui, magari quello che non potrà essere inserito nel libretto per mancanza di spazio.
Ma voi, lettori, non perdetevi il libretto, quando uscirà, perché sarà fantastico e rimarrete molto sorpresi!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
IL SOGNO
Pace, amore, felicità, salute
Comprensione, solidarietà, amicizia
Figli amati desiderati.
Infanzie serene non rubate
Esperienze positive
Unione tra i popoli
Senza più guerre.
Capi di stato che veramente
Uniti lavorino per il Paese,
dandoci lavoro, dignità, fiducia
e un futuro per i nostri
giovani uomini di domani,
perché essi siano migliori di noi.
Ma è solo un sogno
Forse raggiungibile.
Carla Saettone
PENSIERI NOTTURNI
Ci sono delle notti che non riesco a prendere sonno, allora penso a come noi donne, in quest’epoca, siamo fortunate perché, con molte lotte e sacrifici, abbiamo raggiunto la parità di diritti come gli uomini. Anni fa la donna era considerata quasi come una schiava, doveva ubbidire al marito padrone, allevare i figli e accudire la casa senza mai lamentarsi. Vi racconto un fatto successo a mia nonna quando era ragazza. C’era un ragazzo che voleva sposarla e alla sera andava a farle visita, lei doveva farsi vedere operosa e prendeva aghi e lana e si metteva a sferruzzare per fare una calza. Dopo un po’ però finiva la lana e lei, per continuare a lavorare, usciva e disfaceva il suo lavoro in modo che, rientrando, aveva ancora lana per continuare a lavorare perché, se fosse stata con le mani in mano, lui non l’avrebbe sposata. Per noi, suoi discendenti, la vita è più facile e si hanno molte soddisfazioni in più.
Letizia Monti
lunedì 1 ottobre 2018
30 Settembre 2018: un nuovo inizio? di Renata Rusca Zargar
30 Settembre 2018: un nuovo
inizio?
È quel faccione tondo, che mi
campeggia sullo schermo della tivù, blaterando,
a chi è stato stuprato e torturato, che "È finita la pacchia",
che mi ha fatto scendere a Roma per la manifestazione del PD.
Ho dovuto superare il viaggio in
un bus pieno zeppo, con i compagni del PD, partenza 5,30 del mattino, cercando
di non socializzare per dormire un po’.
E, poi, Roma la bella (per noi
che non ci viviamo), la metropolitana, e, finalmente, la Piazza!
Sono venuta qui, anni fa, per la
manifestazione “Se non ora quando”, con le mie figlie. Allora, ero speranzosa
che si potesse cambiare, che ci saremmo liberati di tante brutture e avevo anche appena presentato a Roma un mio
libro di racconti contro la violenza sulle donne. Allora, si
entrava con difficoltà nella piazza, affollatissima.
E, oggi, forse, di più! 50000
o70000, dicono, io non so, ma certo che c'è gente arrampicata dappertutto!
Gente che sventola bandiere del Partito, del nostro Paese, di quell'Europa
sfatta che presto, forse, non esisterà più.
Gente che ha mantenuto con onestà
i propri valori, che non ha ceduto alle promesse di un improbabile Eden, che
non ha barattato l'amore con l'odio, gente che ricorda la storia e che ha paura
per un paese tanto debole. Ci sarà anche qualcuno, come me, che non si muove mai ma che ha
deciso che non si può non fare niente.
Mi hanno educata a pensare (altri
tempi!) che si deve sacrificare anche la propria vita, se necessario.
Forse, le parole del nostro inno nazionale,
che ho considerato sempre sorpassate, tornano, invece, vive. "Siam pronti
alla morte, l'Italia chiamò". Forse,
dobbiamo essere pronti, non dico alla morte ma all’impegno, perché
l'Italia ha fame di persone che provino ad affrontare i problemi con realtà e
passione.
Non parlo dei politici, di
qualsiasi partito, che, alle volte, in una campagna elettorale permanente, non
hanno paura a mentire per vincere, a sacrificare la gente, blandendola con illusioni e
bugie. Magari, perché questi politici hanno, finalmente, trovato un
lavoro che mai avevano avuto e non
vogliono perderlo.
Parlo, invece, della gente, la
gente che mantiene la sua parola e che è qui, a Roma, a far sapere che esiste
ancora.
Sul palco, a parlare, oltre al Segretario
Martina, sono salite persone comuni che si confrontano con i tanti problemi
complessi di questo paese, difficilmente risolvibili a colpi di face book e
decreti. Come ad esempio, il caporalato, il lavoro, la libertà di stampa, i
diritti dei figli di genitori separati,
il diritto alla salute dei bambini, l’integrazione…
Importante è stato anche l’intervento
relativo a Genova che i liguri, come me, possono ben intendere. Oltre al
grandissimo dolore per gli innocenti che hanno perso la vita nel crollo del
ponte, per gli sfollati, per chi è
rimasto senza casa con tutto il suo
contenuto di affetti, noi, in Liguria, eravamo già tagliati fuori dalle
comunicazioni. Da anni, senza gronda (bretella autostradale per smaltire il
traffico), senza terzo valico (miglioramento della rete ferroviaria), con i tir
che ci ossessionano ovunque ammorbando l’aria, comprendiamo bene cosa sia la
mancanza di un ponte tanto importante. E tutti speriamo che si faccia presto, per non uccidere
definitivamente la Liguria tutta!
Moltissimi erano i giovani, tra
il pubblico, mentre, sul palco, un ragazzo di 20 anni, Bernard Dika, ribadiva che l'avversario non è nella piazza, ma fuori.
Infatti, la gente gridava “Unità,
Unità”, sperando che i capi la smettano con le correnti, con la denigrazione di
altri del proprio stesso partito, con il massacro di tutti i nostri leader.
Perché quando si uccide un proprio leader, a vincere è sempre
la destra e, in questo caso,
addirittura, una destra doppia!
http://www.liguria2000news.com/pd-30-settembre-2018-un-nuovo-inizio.html
http://www.oggi.it/posta/2018/10/01/pd-in-piazza-suicidio-o-rinascita-due-punti-di-vista/
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